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Quello che succede qui.
di Valerio Evangelisti
«“Socializzeremo tutto, eccetto i barbieri”» disse Paolo Ferrero, esausto, posando l’AK 47 su un tavolo del Viminale.
«E’ una frase bellissima. Lenin?» chiese Oliviero Diliberto, mentre cercava di togliere la polvere dalla divisa grigioverde.
Alle sue spalle Marco Rizzo, suo eterno contestatore, stava posando con precauzione il bazooka. «Ma che stronzata. Lenin non si è mai occupato di barbieri. Sarà un altro teorico.»
«Infatti» sorrise Ferrero. «Si tratta di Mario Tanassi, segretario del Partito Socialdemocratico prima di Mani Pulite.»
«Perché i barbieri no?» chiese Diliberto.
«Tanassi rettificò durante una Tribuna Politica. Anche i barbieri erano da socializzare.»
Il dialogo si svolgeva mentre nelle strade si combatteva ancora. Le milizie del CPO Gramigna avevano ormai preso Montecitorio. Quelle del Crash di Bologna occupavano tutta l’area da Ponte Milvio a Piazza del Popolo. Il Vittoria di Milano presidiava la Stazione Termini. Il colpo di Stato era fallito, si combatteva in ogni città italiana. A tutti era chiaro che a Roma si svolgeva la battaglia decisiva, specie dopo la fuga del papa ad Avignone.
Dai cortili giungeva il fragore delle fucilazioni. «Questo deve essere Gasparri, oppure La Russa» osservò Ferrero, trasognato.
«No, è D’Alema» disse secco Ferrando, che entrava in quel momento. «Come ultimo desiderio ha chiesto di avere l’estremo rapporto carnale con Berlusconi. Non è stato possibile accontentarlo.»
Si curvarono tutti sulla carta geografica, come se potesse fornire chissà quali risposte.
Ferrero guardò da sopra gli occhiali, che gli erano scesi sulla punta del naso, come sempre. La forma del suo naso era adatta allo scopo. «Adesso si tratta di realizzare il comunismo. Qualche idea?»
Ferrando parlò con sicurezza. «A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità. E’ facile.»
«Facile?» Ferrero rialzò gli occhiali. Era la prima volta in vita sua che lo faceva. «Barbieri a parte, chi potrebbe gestire enormi complessi industriali? Le ferrovie? Le telecomunicazioni? Gli impianti siderurgici?»
«Forse dovremmo sentire Toni Negri» propose Sergio Bologna dal fondo della sala. «Lui aveva in merito idee ben precise.»
Ferrero annuì. «Ottima proposta. Portatemi qua Negri. O magari Casarini.» … Continue reading
La rete è così grande che così, ad un tratto, cercando e cercando un qualcosa che non so cos’è, mi sono perso.
Avete mai avuto questa sensazione?
Ora ho sonno, provo a dormire. Rientro nel letargo mentale in cui la realtà mi trascina, sperando, un giorno per tutti, di potermici perdere davvero, in questo grande spazio…
Paz.
Ho dovuto, ogni volta che vedo questo video ho i brividi, quindi… ho voluto condividere con quei spiriti affini che si ritrovano a leggere il mio blog questo spunto creativo, questa conversazione fantastica. http://fastidio.noblogs.org/post/2009/10/14/d-amore-si-vive
http://www.youtube.com/watch?v=Sf_mXUk-jcI
In questi giorni non ho proprio la forza di fare un cazzo.
Come al solito le cose che mi attanagliano di tanto in tanto sono quelle che non si risolvono mai. Peccato non parlarne tra compagni. Oramai Sogni-Desideri-B/sogni e Rivoluzione non sono più temi affrontati nella quotidianità delle discussioni. Si parla solo di merda.
E io mi sono tatuato addosso quello che per me è il simbolo della rivoluzione permanente, e che ognitanto ancora lo guardo esterrefatto non capendone il significato.
Mi chiedo sempre a che mi serva sto simbolo tatuato su una mano se poi mi nascondo dietro facili pretesti e non mi do da fare.
Io sono uno di quelli che pensa per giorni e giorni a trovare una soluzione, e quando la trova, ricomincia da capo, dimenticando tutti i ragionamenti fatti in precedenza e le scelte prese come buone.
Oddio quanto mi odio quando parlo a me stesso analizzando consciamente i casini che c’ho in testa senza mai prendere la cosa per le mani e provare a cambiarle.
Facile così eh? Dio merda mi odio quando faccio così.
L’up è follia e delirio.
Il down è processo creativo.
punto.
8 anni fa è morto un compagno assassinato dagli apparati repressivi dello stato. 8 anni fa eravamo tutti, o chi per noi, in quelle giornate rimaste nella storia come la più grande rappresaglia poliziesca mai messa in campo da uno stato occidentale che si definisce democratico, in campo civile. Caccia all’uomo per le strade, torture, arresti preventivi, cariche indiscriminate con uso di mezzi blindati di carabinieri e guardia di finanza. Il più grande uso di gas lacrimogeni al co2 in campo non militare, banditi per l’uso di missioni militari dal trattato di Ginevra. Il trattato di Shengen revocato con controlli alle frontiere serrati.
Ancora oggi alcuni di noi compagni rabbrividiscono al sol rievocare i nomi di Bolzaneto, Diaz, Piazza Alimonda, via Tolemaide.
Viene ricordata da qualcuno come una "mattanza argentina".
8 anni fa a Genova abbiamo dato prova che un mondo diverso è possibile e noi lo vogliamo anche a costo della nostra pelle.
8 anni fa Carlo è morto per le strade di Genova perché lui come noi era disposto a tutto pur di difendere la vita che tanto ci è cara, perché noi amiamo la vita più di ogni altro essere al mondo, e a Genova lo abbiamo dimostrato. Abbiamo vinto, e di questo dobbiamo prenderne atto.
Fascisti in doppio petto, carabinieri, poliziotti, Gdf, giudici e pm, ogniuno di voi prima o poi pagherà per lo scempio e la barbarie che avete compiuto su di noi.
Sappiate che la giustizia proletaria si abbatterà si di voi con maggiore furia di quanto possiate immaginare.
"Non sarà mai la paura della follia, della prigione, della morte, delle torture, a costringerci a tenere a mezz’asta la bandiera della rivoluzione."
Perché i veri morti siete voi.
Ciao Carlo.
Cari compagni e compagne, invito tutti e tutte ad unirsi alle azioni delocalizzate che stano avvenendo in giro per l’italia.
Come abbiamo visto l’inizio non è stato dei migliori: 21 arresti preventivi per i "supposti" fatti di torino, luogo in cui l’Onda si è resa protagonista di un contro vertice per il "g8 dell’università", giornata di mobilitazione collettiva e di massa sensazionale.
Il giorno dopo sono eseguiti altri 35 arresti a Roma durante un’azione di protesta all’uni di Roma 3 dove erano coinvolte diverse realtà politiche e territoriali. Insomma l’apparato repressivo si è ben dato da fare.
Ora vi lascio alcuni link e vi aggiorno piu tardi dato che devo lavorare. Merda odio il lavoro.
http://g8.italy.indymedia.org/ Aggiornamenti città per città
http://g8.italy.indymedia.org/ticker – il tiker in tempo reale
smash the capitalism.
A volte scrivo cazzate sul mio blog. Cioè, correggiamo, a volte scrivo qualcosa sul blog, ma il più delle volte sono cazzate.
Oggi mi sono imbattuto in un discorso con una mia carissima amica, una mia vera amica, una della poche (ti amo per questo 🙂 ), e la conversazione ha raggiunto uno stadio finale prevedibile, ma non risolvibile: il dilemma era giunto al suo fulcro, al suo centro nevralgico, cioè la distanza che c’è tra prassi e teoria.
E’ una dicotomia, oppure le due cose possono coincidere? Una parte di una può penetrare nell’altra, oppure le due parti sono mutuamente esclusive?
Ovviamente il dilemma proviene da un’interessantissima discussione politica riguardo linguaggio, movimento, onda e non onda, partecipazione attiva, musica nei camion, gioia e rivoluzione, assenza di contenuti exx exx.
Quindi, la domanda che vi pongo è questa: voi una soluzione ce l’avete? Riuscite a volte a far si che il problema posto superi questo scoglio di merda e affronti nuove vie?
Perché la mia vita finora è sempre stata un pallido tentativo di superare la distanza che c’è tra prasi e teoria.
Comunque mio fratello è figlio unico.
Il gioco del rovesciamento sta appassionando il movimento romano; scoperto il trucco il gioco è facile. "Sacrificarsi non basta occorre immolarsi". Il trucco è vecchio, in Francia ha un espressione linguistica precisa "detournement" ed è stato lungamente adoperato dagli esponenti dell’avanguardia storica, ma con un pò di pazienza si potrebbero trovare dei precursori nei grandi scrittori del ‘7oo inglese Swift Sterne etc, ma non è questo che ci interessa fare. Quello che ci interessa è il senso d’amaro che ci lascia l’ironia, questo suo agire solo come azzeramento.
L’ironia a pre spazi, scardina, mostra ciò che ormai non si può più nascondere. Forza esplosiva, gioia del nichilismo. Forza spettacolare, forza che può esprimersi solo nella rappresentazione, espressione del senso di disagio e di angoscia, ma forza che presuppone l’altro, il nemico su cui esercitarsi. Padre nostro che sei nei cieli dacci oggi il nostro Lama quotidiano. Forza che si esprime presupponendo lo Sato, cerca di corroderlo, pensa a sé stessa come humus della rivolta, a meno di non confondersi con la rivolta stessa "sarà una risata che vi seppellirà". Apre la strada, spiazza, esibisce la miseria dei progetti altrui; non a caso l’ironia di massa è possibile laddove è presente il PCI che nella miseria del suo progetto, si muove come se l’avesse più difficile con la DC che con la sua pratica cinica rende non produttivo l’uso dell’ironia e della satira. L’ironia manca di carne e sangue, è solo parzialmente pratica di liberazione, come parzialmente lo è la violenza e la sua organizzazione. Dalla pratica dell’ironia al linguaggio apodittico e profetico. Linguaggio che segnasse lo spazio fra i nostri desideri e la difficoltà della loro attuazione. Affascinante operazione che ci ha portato molto più avanti di quanto sperassimo, ci ha permessi di cogliere che il senso di un messaggio è veramente altrove rispetto al suo valore segnico. Ed in un senso molto più ricco di quello in cui tutte le interpretazioni accademiche cercano di rinchiuderlo.
Il senso di un messaggio si pone nella sottile rete dei rapporti, pulviscolo ferroso nel mezzo di campi magnetici, ma esso stesso campo di forza si deforma nel flusso articolato, si muove si flette, subisce infinite vicessitudini. La cosa interessante di un messaggio, cosa su cui in genere si è poco indagato è che può essere dichiarativo, apodittico, iperbolico a secondo non della chiave di lettura soggettiva, ma del contesto in cui si immerge. La Rivoluzione, foglio clandestino come ama definirlo l’Unità, è nato come esperimento linguistico di uso di un linguaggio apodittico, profetico da una parte dall’altra come uso di tecniche di rovesciamento linguistico; come pratica di un uso sovversivo del linguaggio, pratica di per sé criminale, ma criminale in un suo proprio spazio, che trova nel codice penale una sua precisa collocazione, con pene ed ammende adeguate. La Rivoluzione ecco una notizia falsa e tendenziosa, o almeno così appariva per chi aveva il senso della difficoltà della sua praticabilità e non cianciava di rotture congiunturali, ma capiva che la rottura è legata ad una situazione internazionale, a meno che come rottura congiunturale non si pensi al governo delle sinistre. Una notizia falsa e tendenziosa che mai come oggi mostra però la sua necessità che produce eventi, per cui evocarla soltanto mette paura.
Continua…