Qui nel Grande Blu.

Qui nel Grande Blu.
Il giorno se né andato, ed eccomi qui alla ribalta. Sono più forte di prima questo è vero, ma le energie di chi ho attorno sono quella forza misteriosa del pendolo che non si ferma mai, ed è ciò che mi da la forza. Lo studio della scienza attraverso la quantistica cerca di trovare spiegazioni a bizzarrie teoriche che la matematica crea, cercando di dimostrare una connessione tra tutte le infinitesime parti della materia.
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Stranamente è ciò che facciamo noi ogni fine settimana.
Qui, nel grande blu.
Mi giro. Mi muovo, mi commuovo. Vedo gente diversa, e tutti si com/muovono all’unisono.
In questa zona temporanea è il “boom-cha” che comanda, che gestisce i tempi della tua esistenza, che relaziona le vite.
Un passo avanti e uno indietro. A volte, mentre muovi le mani, si fa anche qualche passo di lato, o qualche passo doppio.
Tutto è erotico, erogeno, sessualmente attraente. Il movimento di massa diventa così una grande scopata collettiva, ingenua, spontanea, figurata. Il boom-cha aumenta i tuoi battiti cardiaci: gli sguardi, il movimento, fanno tutto il resto.

Qui il linguaggio del corpo diventa manifestazione di intelligenze.
Qui in questa zona temporaneamente autonoma le persone si riappropriano di ciò che viene derubata giornalmente dalla macchina demoniaca del denaro: i propri tempi, i propri ritmi, i propri spazi.
“Boom-cha”.
Ora si è padroni di se stessi, ora il tempo lo stabilisce la musica, ci si riappropria di tutto. E ancora, è il Boom-cha che ti rallegra e ti comanda: Gioisci, e il mondo gioirà con te. Manifesta la tua empatia. Sii un tutt’uno.
Non è più la sveglia, non più la campanella della scuola, il cartellino al lavoro, non più l’alba o il tramonto, esci a far la spesa, cazzo ho fatto tardi anche oggi, il capo mi ammazza.
A volte è pronto per cena, ci si chiama dai balconi, ma prima la sirena della fabbrica suona due volte. Via le tute blu.
No, qui non è così.
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Un pensiero mi attraversa la mente, e lo afferro prima che se ne vada.
Le persone che ho attorno sono diverse da quelle che vivono intorno a me quando sono nella mia città. Qui c’è la natura, tante piccole case, villaggi, cittadine. Poi c’è una città più grande, ma li è comunque diverso da dove vivo io.
Parlo con la gente, ascolto storie, balliamo insieme. Il boom-cha ci sintonizza, la gioia condivisa per la vita fa tutto il resto.
Cammino lungo la vallata tra un camion e una macchina, mi chiedono come sto. Mi salutano.
E soprattutto mi sorridono. Mi abbraccio un mio amico, grazie di tutto questo.
Grazie. Siete bellissimi fratellini.
Ora riprendo a camminare, un’altra macchina, un’altro camion. Come ti chiami? Ah non sei di qui.
Faccio amicizia, stringo rapporti. Ora sono fermo seduto sul sedile di un’auto. Prendiamo un tonico insieme, qui offrono sempre di tutto senza chiedere niente in cambio. Ora siamo in sintonia ancor più di prima.
Sono passate solo poche ore dal mio arrivo e la notte è già profonda e scura. Eppure, ora, conosco tutti. Prima non li conoscevo, o almeno ne conoscevo tre o quattro, poi ho incontrato gli altri. Cosa fai, da dove vieni, com’è da te. Ti diverti.
Qui la gente è semplice. Piccoli lavoratori, qualche studente, qualche disoccupato. Un falegname, uno che guida un furgoncino. Una ragazza fa la parrucchiera. Volti semplici, vite semplici.
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Ora ho sete.
A volte le missioni durano molto.
Ho tante missioni. Una birra, gira del tabacco, conosci qualcuno.
Mi sono perso gli occhiali. Credo che una ragazza abbia la mia felpa. I sostantivi che esprimono il contesto cominciano a delinearsi, ma la lista è lunga.
Mi muovo danzando per tutto il luogo in cerca di contatti mentre gli occhi si incrociano, i sorrisi si rispondono, ci siamo capiti.
Non serve altro.
Ecco, qui è così.
Serve poco alla gente per capirsi, un’occhiata e due sorrisi generalmente sono l’inizio di un quadro più grande.
Ed ecco che il pensiero di prima mi torna alla mente.
Dove vivo io non è così.
Io vivo in una metropoli. Una grande città al centro del mondo.
Probabilmente dove vivo io  è il post-contemporaneo, avanguardia.
Eppure è diverso, parecchio diverso.
I contatti tra le persone sono diversi. Non c’è la stessa empatia, non la stesso sync. Uno sguardo e un sorriso non bastano e generalmente ce ne sono pochi. Si tende a non guardarsi. Non ci si sorride. Non si fanno tante domande.
La gente si chiede di dove sei, che fai, come ti diverti, ma non è realmente interessata. Circostanze/opportunità. Chi le sfrutta meglio, gli altri tornano a casa.

Qui le luci della metropoli ti ingannano. I venditori ti ammaliano. Gli oggetti, a volte, ti possiedono. Le regole sono ferree.
Le persone si schivano.
Quando cammini input di tutti i generi arrivano da ogni parte e da ogni lato e senza che te ne accorgi sei finito in un cinema, in un negozio di abbigliamento, prendi un caffè, ti è venuta fame. Guarda che bel maglione.
La gente ci prova, oddio se ci prova, con tutte le forze a scrollarsi questo sentimento dalle spalle, ma credetemi, non ci riesce.
A volte è la paura ciò che comanda, a volte addirittura il terrore.
Ci si chiude in casa, ci si chiude in macchina, ci si chiude in bagno, si chiudono le finestre.
Un urlo, una sirena, dei ragazzi che giocano, un’auto che parcheggia: i suoni ci attraggono, ci rendono curiosi ma non a tal punto da abbassare un po la guardia.
Scambiamo un scopata tra gatti in un’aggressione preventiva.
Qui è la paranoia che regna sovrana.
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Eppure nella metropoli le esperienze tendono a divenire avanguardia.
Qui nella metropoli le poche persone ancora intimamente connesse col mondo creano ciò che probabilmente non è monetariamente contabile: idee, conflitto, avanguardie, sperimentazione, esperienze di genere, modi altri di vita.
E la collettivizzazione di tutto ciò è il tassello per completare il puzzle, ciò che rende sovversiva l’azione di ognuno anche se in direzioni diverse.
Ed ecco che mi balza in mente una nuova onda, un’onda celebrale “anomala” per così dire, il fulcro del discorso.
Ora capisco, intimamente, il ruolo di una metropoli: la produzione e la distribuzione della cultura, qualunque essa sia.
Questo è il paradigma della nostra società: nel luogo in cui avviene la produzione della cultura e la distribuzione di essa – la  metropoli – le relazioni tra le persone divengono paranoiche. Sono le due facce della medaglia: da un lato l’avanguardia sovversiva e intelligente, dall’altro la morte delle relazioni e l’impossibilità del dominarle.
E il processo contrario avviene in quei luoghi invece dove la produzione della cultura è ancora arretrata, la distribuzione è elitaria, ma, non essendo metropoli, le relazioni rimangono vive, spontanee, felici.
E ancora si pongono a me le due facce: da un lato la semplice ignoranza di gente semplice, ma dall’altro la spontaneità, la semplicità, la condivisione di queste persone nel modo più immediato possibile. Intimo.
Ed ora, cosa fare?
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Il boom-cha mi stordisce e tutto il resto mi sostiene. Qui in questa vallata dove le stelle brillano alto nel cielo siamo nel pieno del grande blu, di quel luogo dove tutto è possibile. Non c’è la paranoia. Le vite si intrecciano creando un’unica trama fitta e colorata.
Ora mi riprendo, torno in me, e saluto il mio vicino. Un passo avanti ed uno indietro.
La trama prende forma, e la forma del divertimento, qui, è una spirale. La spirale significa il tempo che passa, il beat che si ripete, il boom-cha che ritorna.
E’ il moto dell’universo sul quale la legge della gravitazione universale è basata. Qui tutti i corpi si attraggono, continuamente.
Ora mi guardo attorno, il mio vicino è sempre lo stesso da una decina di minuti.
Cammino, altre missioni mi attendono, e così ancora, fino a domani.
Qui, tra il grande blu dove la natura e i corpi si desiderano, il campo magnetico è instabile, le vibrazioni sono ondulatorie, siamo la forza che lega l’uno al tutto e il tutto all’uno.
Boom-cha, ed ecco che siamo uniti.
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Infine la soluzione mi pervade l’animo, mi riempie di euforia vitale, divengo pura voglia di cambiare.
Unire le due medaglie, per far si che si sbilanci la realtà e divenga ciò che vogliamo. Sovversiva, spirituale, immaginativa, orizzontale, intuitiva, spontanea.
E allora, il dunque? Eccolo qui. Delegittimare il luogo della metropoli come unico e centrale dispositivo di produzione e distribuzione della cultura, creando luoghi di aggregazione alternativi dove a governare siano esperienze alternative.
L’origine delle controculture.
Ed infine distribuendo in modo capillare attraverso forme altre le culture di cui ci appropriamo, raggiungendo quei posti che ne sono privi.
Dunque la carpa dritta nel fiume nuota contro corrente, prende vie impervie e complicate, ma raggiunge quei luoghi dove le acque sono ancora limpide, trasparenti, candide, moltiplicando la propria specie, creandone di una nuova.
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Ritorno in me. Questa è la parte migliore del viaggio, dove tutto acquista un senso.
Ora, qui, nel grande blu, so cosa faccio, so cosa voglio. Stiamo cambiando il mondo attraverso un nuovo processo storico.
E lo facciamo a modo nostro.
Boom-cha, e il beat si ripete. Questo è quel luogo dove tutto può avvenire.
(Tex under Creative Commons License: Non Commercial, Non derivate)
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2 Responses to Qui nel Grande Blu.

  1. zion says:

    No, non era Ozora.
    Una piccola festicciola nelle campagna orleanese, 40-50 persone un piccolo sound ma tanta tanta gioia de vive!

  2. iomaproprioio says:

    Ozora or where?
    e naturalmente condivido,in pieno.
    (che io ho ancora salvato quel tuo post sui sorrisi,e da lì,ogni tanto,ritorno!) 🙂

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