Gwen’s Redemption: Narrativa impegnativa – capitolo zero.

Questo è solo il primo capitolo, anzi il capitolo zero del mio lungo romanzo ma ancora un pò corto… spero possiate apprezzare.

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  “Dato I’ordine di cose esistente,

i migliori (moralmente) 

sono insieme i peggiori per la società.

E’ loro destino di essere umiliati e offesi”     

-Dostoevskji-

 

CAPITOLO zero

Ascolta attentamente. Se non hai curiosità nel scoprire tali verità, non prendere in considerazione ciò che leggerai più avanti.

Dimentica.
Tanto domattina la sveglia suonerà come tutti i giorni, e tornerai a lavorare.
Caffèlatte e biscotti.
Pranzo e cena. Amici. 
La tua vita di certo non cambierà per quanto scritto in queste pagine. E ciò che ti rimarrà di quello che hai letto sarà solo un vago ricordo.
Si, solo un vago ricordo.
Abbi pazienza, e arriva fino alla fine. 
Perchè sia io che tu, entrambi dovremo raggiungerlo.
Leggi con attenzione, ma poi, dimentica.
Dimentica la storia che sto per raccontarti, perchè non son cose che fan per te.
Forse la troverai noiosa.
Perché questa è la storia di un gruppo di ragazzi sfaticati che per trovare stimoli fan cose che in umana vita tu non vedrai mai.
Io, ti assicuro, ora sò cosa vuol dire redenzione.
Ora quando mi sdraio nel mio letto, la mia mente è sgombra.
E quando mi sveglio, guardo fuori dalla finestra. Vedo veloci ombre che si inseguono.
E di questo ho tanta paura.
 Per questo ti voglio raccontare di quel giorno in cui mi trovai in un posto che non conoscevo. Di nuovo.

Quel giorno, mi svegliai in un angolo buio di un freddo scantinato, seminterrato di un palazzo in via degli zingari 36, cercando di parlare con Gwen, l’ultimo esule.
Faticai a far uscire le parole che sentirete dalla sua bocca, parole che non avrei voluto ascoltare. 
La luce era fioca, ed il computer, sul lato destro di questa era ancora acceso; la stanza nella quale mi trovavo era piccola e dal tetto molto basso ricoperto di spessa cartapesta. Mentre Gwen si girava intorno cercando e frugando nei cassetti, l’ambiente rigettava un senso di angoscia tale da farlo sembrare spettrale.
Una lampadina appesa ad un filo arrotolato cadeva dall’alto, illuminando la stanza di una luce da sgabuzino.
Ho sempre creduto che uno spazio angusto rendesse angusti anche i propri sogni.
Questa è la storia di me che non capisce mai niente.
Quel giorno ricordo di come mi guardava affranto e turbato.
  Prima di concedermi un po di attenzione terminò alcune operazioni sul suo computer portatile e finì di stampare alcuni manifesti. Li arrotolò con cura e li ripose su di uno scaffale in fondo alla stanza. Da qui riuscivo a leggere le scritte di piccoli adesivi neri.
“Animal Liberation for Social Revolution – front”.
“Information is disorder”.
Faticavo ancora a mettere a fuoco gli oggetti vicini, non ricordavo ancora perché mi trovavo in quel posto o perché indossassi quei vestiti; ero seduto in terra appoggiato alla porta chiusa della stanza, fermo a fissare lo sguardo sugli oggetti lontani e pensando ad occhi aperti. Sentivo la mia testa sempre più scomoda; la tirai indietro appoggiandomi alla porta, cercando di non pensare a ciò che mi fosse successo. Ogni tanto ricordavo qualcosa, avvenimenti, oggetti: una gonna verde con striature chiare e scure, un pittoresco uomo del sud, grandi labbra color rosso carne; un bancone ricco di cibo e bevande varie. 
Un bizzarro accostamento di luci e suoni e colori riempivano il luogo dove ero stato, luogo del quale non ricordavo che la mistura di musica Jazz ed Electro. 
Prurito. Ricordai del prurito su tutto il corpo.
Il dottore avrebbe detto che sarebbe diventata cronica. Avrei dovuto prender oltre ai cortisteroidi del Lexotan, ma gli effetti collaterali su di me si manifestavano a ritmo insostenibile.
Sonnolenza, ottundimento delle emozioni.
Confusione.
Affaticamento.
I foglietti illustrativi di questi medicinali hanno una lunga sezione dedicata agli effetti indesiderati. 
Vertigini.
Visione doppia.
Fissare oggetti lontani per qualche minuto diventa il tuo passatempo preferito sotto l’effetto dei cortisteroidi e delle benzodiazepine. 
Osservare Gwen che batteva sulla tastiera del computer una iinfinità di battute era un’esperienza del tutto nuova, che con l’effetto aggiunto dei medicinali diventava in un certo qual modo visionaria.
Andava così veloce che avrebbe potuto scrivere un romanzo in poche ore.
  Accese un altro computer, e dopo aver scollegato uno schermo da un vecchio pc lo ricollegò all’ultimo.
Non riuscivo a leggere da lontano cosa ci fosse scritto sullo schermo, nè cosa stesse facendo: le mie conoscenze nel campo dell’informatica erano decisamente scarse.
In quel momento così particolare della mia vita, l’unica cosa a cui pensai fu che il corso di computer che avevo ordinato per corrispondenza non era ancora arrivato.
Mi alzai da terra ancora confuso e stordito.
Mi sedetti su di una sedia vicino al computer; era una di quelle sedie girevoli in finta pelle nera. Cercai di avvicinarmi ancor di più per capire cosa stesse scrivendo.
# netstat
<< Credi in Dio >> bisbigliò Gwen.
Ancora mi chiedo come io sia finito lì dentro.
Amnesia.
Depressione.
Dipendenza.
<< Cosa? >> domandai.
La mia capacità di messa a fuoco non era ancora del tutto tornata.
<< Ti ho chiesto se credi in Dio. E’ come in uno di quei fottuti questionari a crocette… le soluzioni non sono molte perchè la risposta è semplice >>
Il vicino di casa giorni dopo avrebbe denunciato alla polizia di aver sentito rumori metallici ripetitivi provenienti dal pian terreno.
Bang.
Bang.
<< Scherzi? No, no che non credo ad una stronzata del genere. Io voglio essere sovrano si me stesso cazzo…>> 
Sembravano parole di Daniel. Beh, non potevo dirgli che la mia vita religiosa è avvolta ancora tra due opuscoli cartacei. Gli raccontai che un giorno i testimoni di Geova bussarono alla mia porta.
<< Quei pazzi messianici parlavano di Dio e del Diavolo e che prima o poi il suo regno si instauretà su questa terra>>
Con tono profondo mi disse:
<<Il figliol prodigo non esiste solo nelle comuni storie… Il Dio dei nostri padri predilige il peccatore al misericordioso. Quando Gesù scese negli inferi annoverò tra i suoi seguaci i malvagi e i fratricidi. Caino è il suo prediletto >>
Pensare a Gesù negli inferi mi dava fiducia.
Forse anche per me c’era un posto tra gli eletti.
Silenzio.
Il silenzio in quella stanza era profondo, intervallato solo dal rumore dei tasti della tastiera. Clik, clik.
<< Sei l’ultimo esule. Quindi sai dov’è. >> chiesi.
Mi guardò a lungo.
Clik, clik.
Ad un tratto si girò di colpo come terrorizzato dalla vista di un fantasma. Mi spaventai e mi alzai di scatto dalla sedia facendo cadere un libro senza scritte in copertina
Mi ripetevo “respira”.
“Respira”. 
Non può durare ancora per molto.
Il suo sguardo fissava il mio, penetrante, colmo di timore e risentimento.
Timore di rivelare a estranei ormai consci la verità compiuta, risentimento di non aver potuto far nulla per evitare ciò.
<< Dovresti averlo capito. Abram ha scelto il regno degli inferi.
E’ ancora vivo, ma non lo puoi raggiungere. Arrenditi al fatto, amico mio, che ci sono cose che vanno al di là della nostra percezione della realtà >>
“Liberazione” è ciò che mi disse Daniel un giorno riguardo il programma R*.
<< Che cazzo credi, di poterlo salvare? Non puoi salvarlo. Non vuole essere salvato… ha fatto la sua scelta, non ti intromettere. >>
Sentii rumori provenire dalla stanza accanto.
Bang. Bang.
<< Al diavolo la morte, il peccato e la redenzione, son altre le mia paure più lontane. E’ come quando sei colpevole di qualcosa. Il cuore ti sale dallo stomaco alla gola, e poi giù, veloce>>
Mi ripetevo “Tra qualche ora ti sentirai meglio, vedrai”.
La tensione nell’aria si respirava come il fastidioso odore di bruciato, quell’odore che ti toglie l’ossigeno e ti affatica il respiro.
Una volta lessi su di una borsetta da donna color arancio la scritta “Inspira… Cospira”.
Ancora oggi non mi è chiaro cosa volesse dire Gwen quel giorno. Avevo intravisto dei grandi poster strappati, ancora appesi sulla parete alle mie spalle.
“Fear stalks the land”
“Lost Child burn!!!”
Lo scotch e le puntine da disegno erano ancora attaccate alle parete.
Ora Gwen contava e scriveva. 
Davanti a pagine nere con scritte bianche delirava vocaboli a me sconosciuti.
“if def”
“# void_00 ”
Contava e scriveva.
“#root_$ make”
Percepivo in Gwen uno strano senso di colpa. Il fardello di questa faccenda pesava su di lui come su nessun altro. 
<< Abram ha accettato la sconfitta. E’ un codardo, non merita di essere ricordato in questo modo>>
L’espressione di Gwen era mutata visibilmente: ciò che prima era uno sguardo sicuro e ineluttabile, diventò insicuro e perplesso, uno sguardo che tradiva le sue parole.
Parole profetiche di sventura e malaugurio che al sol ricordo mi gelano il sangue. 
Mi riavvicinai verso la sedia per raccogliere il libro caduto.
Erano raccolte di poesie e versi scritti da Abram, prima di andar via.
“Redenzione” è ciò che mi disse un giorno Daniel riguardo il programma R*.
<< Non puoi far nulla per lui. Vattene e non mi scocciare >>
  Queste furono le parole di Gwen, in quel giorno non molto lontano.
Questa è la vera storia di Abramo. E delle parole che da lui come acqua sgorgarono.
Parole che talvolta, ancora oggi, mi suscitano una particolare angoscia mista a nostalgia, pensierosa.
Credimi e acceta il mio consiglio: dimentica.
Giovanni, Apocalisse; Prologo
“Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le parole che ivi sono scritte. Perché il tempo è vicino”

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