Riporto un’interessante articolo apparso su roma.indymedia riguardo il movimento studentesco e l’incapacità che ha avuto finora di essere "Alba" per una nuova stagione di conflitto, di essere multitudine gioiosa e vitale ma non avanguardia rivoluzionaria…
O almeno, finora…
Domani tutti e tutte i compagni e le compagne in piazza a roma per dio! Manifestazione nazionale a roma 14 novembre, autonoma, studentesca, di movimento.
h 9.30 a Piazzale Aldo Moro (La Sapienza): Spezzone Universitario
h 9.00 a Piramide: gli studenti di Roma Tre
h 9.30 a Barberini per confluire a Piazza della Repubblica: studenti medi
Qui altri dettagli sulla giornata di domani e sulle giornate future di mobilitazione.
Di seguito l’articolo preso da Indymedia Roma.
Critica al documento della sapienza occupata.
L’appello della Sapienza Occupata "L’ONDA PREPARA LA GRANDE MAREGGIATA" è caratterizzato da una profonda moderazione e dalla mancanza di una reale consapevolezza circa il ruolo che il movimento studentesco è chiamato a giocare.
A nostro avviso, il documento è intriso di un ottuso corporativismo ed è speculare alle letture più riformiste dell’ arco parlamentare che nulla dicono circa il nesso stringente tra avanzamento del capitalismo in senso liberale – con relativo mutamento del ruolo potere politico sempre più declinato al rafforzamento del Profit state – e distruzione creativa delle barriere che cercano di limitarlo. In altre parole, nulla si dice sul fatto che la crisi finanziaria cui stiamo assistendo si stia palesando nella distruzione della struttura sociale che ha ospitato il processo di accumulazione e la creazione di una nuova struttura, tra cui la "riforma" del sistema formativo conseguente alla (già attuata) destrutturazione del mondo del lavoro e della produzione.
La conseguenza logica di tale limite si riflette nella moderazione del documento della Sapienza che infatti non coglie per nulla l’ elemento centrale: ogni ulteriore mercificazione della società, che passa necessariamente per i finanziamenti (pubblici) alle imprese e per i salvataggi degli istituti bancari – maggiori responsabili dell’attuale tracollo finanziario – rappresenta un ulteriore passo verso la via della privatizzazione e demolizione dell’università e dell’istruzione pubblica.
Infatti, se il ruolo delle istituzioni statuali, seppur pubbliche, è sempre più declinato al sostenimento delle imprese private a costo di ingenti costi sociali, è sbagliato ritenere che l’università – un istituto che riproduce il sistema generale di sfruttamento attraverso meccanismi determinati di a) selezione e di b) manipolazione – sia un’ isola felice slegata dalla struttura economica che la determina.
Nonostante la centralità delle forze di mercato, queste vengono rilegate sullo sfondo, mentre il focus viene posto sull’università, come se la crescita di potere delle forze di mercato non andasse di pari passo con l’imposizione sempre più veemente degli indirizzi di ricerca universitari (capitalisticamente) più convenienti. Svilito il ruolo dello stato – da mediatore dei conflitti sociali a puro ossigenatore dei profitti privati – il destino dell’università e dell’istruzione pubblica si trova perciò in balia delle forze di mercato (ma politicamente guidate) che pretendono di sottomettere qualunque spiraglio delle nostre vite alla sua valorizzazione. In definitiva, non ci si rende conto che ogni concessione sul mondo del lavoro a vantaggio delle forze di mercato rappresenta un’ulteriore erosione del diritto allo studio ed al diritto ad una formazione pubblica che ci favorisca come parti integranti di una collettività.
I passaggi apparentemente più conflittuali del documento della Sapienza Occupata sono quelli che destano maggiore preoccupazione poichè speculari alle letture dei teorici liberisti repentinamente convertiti ad un keynesismo di facciata. Il nocciolo centrale della questione viene riassunto all’ inizio del loro documento "da più di un mese assistiamo al crollo sistematico delle borse mondiali, preludio alla vera crisi, quella dell’economia reale". Praticamente, si descrive un processo che va dalla crisi finanziaria all’economia reale.
Come giustamente sottolineato da Giacchè e Burgio, l’implicazioni di questa narrazione ideologica è che l’«economia reale» (in sostanza, il capitalismo) sarebbe di per sé sana. Tale descrizione, però, omette il dato essenziale. Prima del processo descritto, ne opera uno opposto (dall’economia reale alla finanza) che si fa di tutto per occultare. E si capisce perché.
In realtà è il modo in cui funzionano la produzione e la riproduzione (cioè il rapporto capitale-lavoro) a decidere il ruolo della finanza e le forme concrete del suo funzionamento. Nella fattispecie, è l’ipersfruttamento del lavoro (a mezzo di precarizzazioni, delocalizzazioni, bassi salari e tagli del welfare) a far sì che all’indebitamento di massa sia affidato il ruolo di fondamentale volano della crescita. Non stupisce allora che su questo si cerchi di instaurare un tabù. Non si può dire chiaramente – pena l’esplicita delegittimazione del sistema – che all’origine della crisi è la crescente povertà imposta alle classi lavoratrici da trent’anni a questa parte.
Se è vero che l’economia reale è sia il luogo originario del processo di crisi, sia il terreno del suo compiuto dispiegarsi, allora si può dire che la produzione si serve della finanza per sopravvivere.
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Avendo demistificato la vulgata neoliberista cui purtroppo il documento della Sapienza attinge a piene mani, è giunto il momento di radicalizzare la nostra critica partendo dalle parole d’ ordine del movimento studentesco. Come abbiamo già scritto, lo slogan "noi la crisi non la paghiamo" non è più sufficiente.
La domanda che dobbiamo porci è: chi pagherà questa crisi?
I provvedimenti che il governo sta elaborando, tesi a restituire i fondi alla all’università – col plauso dell’opposizione, del sindacato e parte del movimento – sono solamente stupidi palliavi se tali fondi si taglieranno alle pensioni, ai salari, alle poche imprese statali che ancora ci garantiscono la fruizione di valori d’uso ed alla scuola dove in realtà sono già stati tagliati 90 mila posti di lavoro.
In definitiva, se i fondi per salvare temporaneamente l’università verranno trovati a costo di un’ ulteriore mercificazione della società mediante l’ulteriore smantellamento del welfare state, la privatizzazione e distruzione dell’università pubblica non potrà che essere questione di tempo. Il tempo necessario alle forze di mercato per rafforzare il proprio potere politico. I mesi necessari che la grande mente, Confindustria, non affili il suo braccio armato – il Parlamento – e non rafforzi la voce dei suoi apologeti, i corpi baronali.
Il movimento studentesco – al di là delle elucubrazioni di alcuni individui che fanfaroneggiano sulla " centralità dei lavoratori cognitivi come soggetti conflittuali", probabilmente gridate ai quattro venti per auto assurgersi a protagonisti del movimento – ha oggi una duplice responsabilità.
Da un lato, gli studenti hanno dimostrato che la lotta paga. Era da quasi un quindicennio, sulle pensioni, che un governo non ritirava un provvedimento cosi strutturale. Oggi più di allora il movimento degli studenti sta mostrando che il conflitto sociale può assumere la radicalità necessaria al cambiamento dello stato di cose presenti qualora sia realmente slegato dai partiti, partitini e sindacati il cui unico ruolo è incanalare il malessere sociale su binari istituzionali, per definizione conservatori.
D’ altro lato, strettamente connesso al primo, il movimento studentesco deve continuare a travalicare le mura universitarie al fine stringere alleanze con quei soggetti sociali che, nell’ultimo trentennio, hanno rimpinguato le tasche dei padroni mediante decurtazioni salariali e tagli dei diritti. La stessa classe sociale composta da studenti e lavoratori che oggi sono/siamo chiamati per l’ennesima volta a sostenere i sacrifici necessari a salvare un sistema la cui espansione va di pari passo con il nostro sfruttamento e subordinazione.